Poliziotti condannati per i fatti di Genova, ma promossi al grado di vicequestore
È inaccettabile che, a quasi 20 anni dai fatti incriminati, e dopo una condanna definitiva, individui che avrebbero dovuto servire lo Stato, obbedire alle sue leggi e osservare la Costituzione su cui hanno giurato, non solo servano ancora nel corpo di Polizia, ma addirittura siano anche promossi. Tuttavia, questo è solo l’ultimo atto che tenta di evitare conseguenze penali o addirittura premiare i disumani crimini di poliziotti e dirigenti delle Forze dell’ordine, che non solo tentarono di minimizzare l’accaduto, presentando i manifestanti pacifici come persone violente e pericolose, ma addirittura ordinarono le azioni che portarono a pestaggi, torture e molteplici violazioni dei diritti umani nei confronti di uomini e donne colpevoli solo di voler manifestare pubblicamente il loro dissenso. Nei processi che seguirono i fatti di Genova, gli individui giudicati colpevoli furono molti, ma spesso le pene furono di lieve entità e addirittura, in alcuni casi, non furono scontate perché cadute in proscrizione. Nulla che possa realmente condannare ad una pena equa i responsabili dello scorrimento di sangue di persone innocenti.
La responsabilità di questa punizione soltanto minima e, in molti casi, parziale per chi commise dei crimini a Genova, è anche politica. Infatti, soltanto nel 2017, il Parlamento ha approvato una legge sul reato di tortura e di istigazione alla tortura, nonostante l’Italia abbia ratificato nel 1985 la “Convenzione ONU contro la tortura e altri trattamenti e pene crudeli, inumani e degradanti” e malgrado il nostro Paese sia stato più volte condannato dalla Corte europea per i diritti umani per i reati sopra citati. L’articolo 613-bis del Codice penale, seppur confuso in alcuni punti e non applicabile sempre ai casi di violenza commessa da un Pubblico ufficiale, dovrebbe essere il primo passo per garantire che, qualora accadano di nuovo fatti inaccettabili come quelli del 2001, i responsabili possano essere puniti severamente e debbano scontare totalmente le proprie pene. Infatti, uno dei principali problemi giuridici nei processi contro i membri delle Forze dell’ordine celebratisi prima del 2017 è stata proprio la mancanza del reato di tortura. Per questo motivo, le condanne furono, per la maggior parte, per i reati di abuso d’ufficio e lesioni, che prevedono delle pene più lievi rispetto all’attuale reato di tortura.
Inoltre, nonostante la gravità dei sanguinosi eventi di Genova, non è mai stata aperta una Commissione parlamentare d’inchiesta né si è approvata una legge che imponga che sia i caschi che le divise degli agenti siano muniti di codici alfanumerici identificativi (vedi anche http://anpigrugliasco.it/2019/07/15/contro-la-repressione-partecipare-e-presidiare-la-democrazia/). Secondo Amnesty International, che da anni sta portando avanti questa campagna sul territorio nazionale ( a cui si può aderire tramite questo link: https://www.amnesty.it/appelli/inserire-subito-i-codici-identificativi/), ciò sarebbe stato molto utile a Genova, e non solo, sia come deterrente per il compimento di atti criminali, sia come prove giudiziarie nelle aule di Tribunale.
Per questo, noi dell’ANPI “68 Martiri” di Grugliasco rinnoviamo il nostro supporto a tutte le vittime degli abusi polizieschi di Genova e rifiutiamo che i personaggi coinvolti in tali crimini vengano semplicemente identificati come “mele marce” poiché di fatto è stato dimostrato, purtroppo non solo da questi eventi, che ad essere marcio è il sistema nel suo insieme. Inoltre, condividiamo totalmente il comunicato della Segreteria nazionale ANPI, ( si può leggere al link https://www.anpi.it/articoli/2375/ ) e chiediamo che le promozioni di Troiani e Gava vengano immediatamente revocate e venga intrapresa al più presto una riforma degli apparati di Polizia che renda le Forze dell’ordine realmente democratiche e antifasciste.