NeofascistiStoria e Memoria

28 Maggio 1974: strage di piazza della Loggia a Brescia

28 Maggio 1974: strage di piazza della Loggia a Brescia
Il 28 maggio 1974, durante una manifestazione popolare indetta dal comitato antifascista locale e dai sindacati, alle ore 10:12 esplose in piazza della Loggia a Brescia una bomba posizionata all’interno di un cestino accanto a una delle colonne del portico della piazza, che provocò 102 feriti e 8 morti (5 insegnanti, 2 operai e un pensionato ex partigiano):

Giulietta Banzi Bazoli, 34 anni, insegnante
Livia Bottardi, 32 anni, insegnante
Alberto Trebeschi, 37 anni, insegnante
Clementina Calzari Trebeschi, 31 anni, insegnante
Euplo Natali, 69 anni, Partigiano e pensionato
Luigi Pinto, 25 anni, insegnante
Bartolomeo Talenti, 56 anni, operaio
Vittorio Zambarda, 60 anni, operaio

La manifestazione era stata convocata contro la violenza e il terrorismo neofascista crescente: in città la mobilitazione era ormai permanente da diverso tempo, in risposta a una serie di aggressioni, provocazioni e tentativi di attentato da parte dei neofascisti.Il funerale si svolse nella stessa piazza della strage, in presenza delle più alte cariche istituzionali del Paese, e vi fu una partecipazione popolare di circa 500.000 persone.

La paternità della strage venne rivendicata dalle organizzazioni terroristiche neofasciste Ordine nero e Anno zero-Ordine nuovo.

Le indagini furono lunghe e complesse, i processi costellati di assoluzioni, depistaggi, silenzi e informazioni rivelate con decenni di ritardo.

I tre processi celebrati nel corso di oltre quarant’anni hanno permesso di acclarare la matrice neofascista della strage e consentono di collocarla tra le azioni terroristiche attribuibili all’area veneta dell’organizzazione Ordine Nuovo (la stessa matrice della strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969).

In particolare, nel 2015 in appello e nel 2017 in Cassazione, vennero confermate le condanne all’ergastolo per Carlo Maria Maggi, leader neofascista di Ordine Nuovo, per Maurizio Tramonte, informatore dei servizi segreti legato ai neofascisti e noto come “fonte Tritone”, confermando ancora una volta l’esistenza di rapporti tra organizzazioni eversive neofasciste e settori istituzionali nei gangli dello Stato.

Nelle motivazioni della sentenza di appello del Tribunale di Milano (2016) si fa riferimento a una vera e propria “opera sotterranea” condotta da un “coacervo di forze individuabili con certezza in una parte non irrilevante degli apparati di sicurezza della Stato, nelle centrali occulte di potere che hanno prima incoraggiato e supportato lo sviluppo dei progetti eversivi della destra estrema e hanno sviato, poi, l’intervento della magistratura, che di fatto hanno reso impossibile la ricostruzione dell’intera rete di responsabilità.
Il risultato è stato devastante per la dignità stessa dello Stato e della sua irrinunciabile funzione di tutela delle istituzioni democratiche, visto che sono solo un leader ultraottantenne e un non più giovane informatore dei servizi, a sedere oggi, a distanza di 41 anni dalla strage sul banco degli imputati, mentre altri, parimente responsabili, hanno da tempo lasciato questo mondo o anche solo questo Paese, ponendo una pietra tombale sui troppi intrecci che hanno connotato la mala-vita, anche istituzionale, dell’epoca delle bombe“.

Rinnoviamo il nostro giuramento a impegnarci sempre affinché questo sangue di compagne e compagni versato nelle piazze d’Italia ci guidi sempre nella direzione della partecipazione popolare, del confronto libero e critico, della formazione permanente, del ripudio di ogni forma di sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Che nessuno abdichi mai al proprio ruolo di cittadino/cittadina attiva, che nessuno ceda alla rassegnazione, al disimpegno, all’indifferenza: viviamo, siamo partigiani!